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LOVE|Paradisi Artificiali – Residenza Artistica presso il Parc di Firenze Suggestioni di Giosuè J. Prezioso

By 9 Febbraio 2020 No Comments

Giosuè J. Prezioso

PhD Candidate, University of Reading

Specialisation in Strategic Management & Innovation, Copenhagen Business School

MSc Art, Law and Business, Christie’s London
BA Art History and Italian Studies (magna cum laude), John Cabot University

L’opera Paradisi Artificiali di Davide Valrosso è un’operazione multidisciplinare complessa, che abbraccia elementi di iconografia, pittura, teatro-danza, cinema e danze tribali – tutti armonicamente coesi e distribuiti lungo la visione di un lungometraggio danzato, che è proseguo di un’attività di ricerca decennale e connessa.

L’iconografia cui attinge Valrosso è sacra e non-dettamente esplicita, quella del Paradiso, qui ri-attoriato da una popolazione femminile plurale a 3 soggetti, dove Adamo scompare – o è forse semplicemente re-interpretato.

Il boato largo dei piatti metallici che apre la scena ha il gusto di un’apologia: il Paradiso, forse, è ormai abbandonato, e i personaggi da questo rifuggono, strisciando, in proskynesis.
Un suono di tromba evapora dallo sfondo interrompendo il larvare: il richiamo all’hovel ebraico, suono di catarsi, è quasi innegabile.

Dalla natura della scena compaiono elementi astratti e Kandiskyiani – una retta e sfere rosse – che come per l’artista, in un gioco di sinestesie, creano una Composizione.  

L’audio si fa plateale e si espande cattedralico, mentre i corpi, ora indipendenti, simulano torsioni e figure Bauschiane. 

Valrosso dirige gli attori con encomiabile rigore compositivo: i tre corpi si distribuiscono simmetrici lungo la scena, che ancora una volta, per rimando formale, diventa a più battute Kandinskyiana. 

La composizione si rompe irrimediabilmente all’incedere di tamburamenti caldi e terreni, con figure core-utiche, che ricordano scene Giambolognesche, intime e tortili.

Appare uno specchio. Uno schermo. Un pannello. Tre gradienti di visibilità che rendono la scena a tratti Cubista, con rapide visualizzazioni tridimensionali, che sembrano citare l’intima scena delle ‘ragazze di Avignone.’

Segue una pausa con fumo goduta – finestra sui temi dell’opera Baudeleriana (?)

Appare poi dunque una figura bendata, ausiliata nella scena dalle altre. La stessa agguanta un frutto che il Paradiso non aveva: la banana, monkeyka e primitiva – forse risvegliata dal fumo pippato. 

La scena si fa scura, inghiottisce le danzanti e si avvertono fisici martellamenti e affissioni, come il rombare frenetico di un cervello eccitato da ‘paradisi Baudelariani.’

Dal buio emergono immagini ora calde, miste, multiformi e Boschiane.

Il thrill Baudelariano evolve ancora e appare una luce nel buio, dapprima allucinogena e poi fioca ed opaca, parte il ‘trip’ nella musica.

Dallo stadio larvale, al raziocinio, il popping e infine il trip, Valrosso è in grado di esacerbare le tensioni multiformi dei Paradisi Artificiali di Baudelaire, attingendo a un panorama di citazioni, che difendono una complessa e forte ricerca transdisciplinare.

Valrosso riesce ad essere medievale, fiammingo… Dal grande affresco all’italiana, dominando e dirigendo la grande scena, alla piccola e fioca luce fiamminga e, ancora, medievale. 

Lo spettatore è coinvolto in scene cangianti dove la narrazione Baudelariana non solo è difesa e compresa, ma anche interpretata e tradotta in disciplina che non è solo danza. 

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