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“Biografia di un corpo”, spettacolo del 17 marzo. Recensione di Davide Fiore, Il Giornale di Vicenza.

By 7 Aprile 2018 No Comments

I paesaggi con il quale sei cresciuto, fatti di luci, voci e origini, nel destino di ognuno sono un bagaglio, che si trasmette nel proprio operare. In “Biografia di un corpo”, l’esecuzione in danza dello scorso sabato che Davide Valrosso ha restituito al Teatro Comunale di Vicenza, dopo una settimana di residenza artistica, non si sottrae alla stessa condizione. Le figurazioni evocate sono la grandezza del mare notturno, la liquidità, il viaggiare di greci, di fenici e di normanni visto come spostamento di influenze culturali. La Puglia del nord del coreografo non è folklore, è origine mitica elegante da tradurre in invenzione. È la dimostrazione di una capacità affatto ovvia per un regista, di saper gestire elementi cromatici, tattili o chiaroscurali, calibrandoli con pulizia formale. Le trasparenze acquose del fondo consolidano l’ombra scura, un’entità dall’incisivo temperamento drammatico. La musica è un mantra che salda la scena, rotta da tre o quattro lampade di luce fredda da raccogliere e muovere con le mani come attrezzi da lavoro o da preghiera. Oggetti di scena che evocano l’occhio divino puntato alla platea, o il faro iconico che guarda a distanza o riporta a noi stessi, entrando dalla bocca. Il costume di nudezza del danzatore è la divinità “pagana” che sopravvive nei latini, testimonianza senza sovrastrutture della “nudità” quale “verità”, e poi oltre, di “verità” quale “bellezza”, descritta dal poeta Keats. La biografia di quel corpo non è il resoconto delle esperienze di vita, ma la risposta ai quesiti filosofici di chi siamo e da dove veniamo, e la conferma del’affiliazione con la geografia della Natura, tramite per l’assoluto. Con questo lavoro Valrosso è approdato alla prima maturità artistica. Con la danza e con l’ombra egli ha descritto l’energia della storia, l’uomo-unità di misura di Vitruvio, ha riscoperto la posa policletea dipinta o scolpita dai greci, senza mai farli sembrare il disegno nel taccuino di un archeologo. Di quel gusto geometrico nelle pose, controllate e a tratti monumentali, prevale il cerchio e un generale effetto centripeto. La scena di fondo è un sottile permafrost sensibile ad un soffio d’aria, gelido come può il mare e lieve come l’aria. Il grande blu marino diventa un’impalpabile campo magnetico, e nell’azione finale il corpo vi si annega, sparisce, facendosi storia. Il giardino “Off” di Danza in Rete Festival | Vicenza – Schio ha coltivato anche queste immagini, superando l’atto provocatorio a favore di un’opera dipinta e registicamente equilibrata. www.danzainretefestival.it

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